martedì 18 dicembre 2007

Grande Italia!

Per un attimo oggi sono scomparse le Ferrari,
le Borse, il Made InItaly. E' uscità tutta la nostra civiltà. Si è finalmente abolita la pena di morte. Perchè non è la puntalità di un treno che fa grande un paese.
(la prima al mondo ad abolirla è stata la Toscana nel 1786)

venerdì 7 dicembre 2007

a Massimo Troisi

A Troisi

Non so cosa teneva “dint’a capa”,
intelligente, generoso, scaltro,
per lui non vale il detto che è del Papa,
morto un Troisi non se ne fa un altro.
Morto Troisi muore la segreta
arte di quella dolce tarantella,
ciò che Moravia disse del Poeta
io lo ridico per un Pulcinella.
La gioia di bagnarsi in quel diluvio
di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!”
era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz.
“Non si capisce”, urlavano sicuri,
“questo Troisi se ne resti al Sud!”
Adesso lo capiscono i canguri,
gli Indiani e i miliardari di Holliwood!
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino,
e non m’ha mai parlato della pizza,
e non m’ha mai suonato il mandolino.
O Massimino io ti tengo in serbo
fra ciò che il mondo dona di più caro,
ha fatto più miracoli il tuo verbo
di quello dell’amato San Gennaro

Roberto Benigni



venerdì 30 novembre 2007

S. Andrea sè perso!

Ho appena scoperto che S.Andrea protegge i cantanti, la Scozia e i pescatori, oltre che un'altra serie di nazioni e città come Empoli (ti ricordi Stè?).
Sicuramente queste sono tra le cose più belle che abbiamo (macchè!), quindi sono orgoglioso (ma vai a cag...).
Vabbè tra cantanti e pescatori oggi è il giorno di questa canzone. Un Andrea sicuramente meno fortunato di me!

Andrea - Fabrizio De Andrè

Andrea s'è perso s'è perso e non sa tornare
Andrea s'è perso s'è perso e non sarà tornare
Andrea aveva un amore Riccioli neri
Andrea aveva un dolore Riccioli neri.

C'era scritto sul foglio ch'era morto sulla bandiera
C'era scritto e la firma era d'oro era firma di re

Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.

Occhi di bosco contadino del regno profilo francese
Occhi di bosco soldato del regno profilo francese
E Andrea l'ha perso ha perso l'amore la perla più rara
E Andrea ha in bocca un dolore la perla più scura.

Andrea raccoglieva violette ai bordi del pozzo
Andrea gettava Riccioli neri nel cerchio del pozzo
Il secchio gli disse - Signore il pozzo è profondo
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto.

Lui disse - Mi basta mi basta che sia più profondo di me.
Lui disse - Mi basta mi basta che sia più profondo di me.

giovedì 29 novembre 2007

se la realtà non c'è

Mi fanno pena tutti quelli che riprendono attraverso il cellulare scene di violenze di tutti i tipi. Mi fanno pena tutti quelli che cercano di catturare in video, un briciolo d'emozione altrui. Forse non hanno il coraggio di abbassare il telefono e guardare la realtà.

sabato 24 novembre 2007

falso pacifismo

Ogni volta che c'è un attentato in Afghanistan e muore un italiano, Diliberto fa la solita dichiarazione. "Ritiriamoci dall'Afghanistan", poi organizzano una manifestazione sui diritti umani!
Diliberto puoi almeno aspettare 10 minuti dall'attentato, prima di fare queste dichiarazioni?
Questo per me è solo falso pacifismo, il pacifismo dell'indifferenza.

Questi solo i reati dei talebani in quella terra.
  • Amputazione delle mani per i ladri.
  • Esecuzioni pubbliche
  • Fucilazione di prostitute negli stadi sportivi
  • Fucilazione di assassini da parte dei parenti delle vittime negli stadi sportivi
  • Impiccagione o sgozzamento dei rapinatori, negli stati sportivi
  • Lapidazione di adultere
  • Crollo di muri addosso agli omosessuali
  • Distruzione di antiche statue Buddhiste, prima dell'11 settembre 2001
  • Su consiglio degli anziani della comunità indù, che venivano solitamente disturbati dalla polizia che pensava fossero musulmani che si erano rasati la barba, il 22 maggio 2001, i talebani emisero un ordine secondo il quale gli indù e gli altri non-musulmani dovevano indossare un simbolo di riconoscimento giallo. Questa norma venne sostituita nel giugno dello stesso anno, con un ordine per cui gli indù dovevano avere uno speciale documento di identità.
  • Gli uomini musulmani venivano picchiati o imprigionati se si radevano o tagliavano eccessivamente la barba
  • Alle donne non era permesso indossare collant o scarpe aperte, ne di indossare scarpe che facessero rumore quando camminavano
  • Le donne subivano punizioni fisiche se mostravano il volto in pubblico
  • Le case in cui abitavano donne dovevano avere le finestre che davano sulla strada dipinte, così che la gente non fosse in grado di guardare dentro.

venerdì 23 novembre 2007

martedì 13 novembre 2007

politichese forense, ma non troppo











"E’ vergognoso che troppi politici se la prendano con un poliziotto che ha sbagliato piuttosto che con delinquenti e teppisti . Questo è inaccettabile ed intollerabile” PierFerdinando Casini

Non voglio fare il solito discorso da politiche un pò forense. Non capisco però come fa Casini a dire certe cose. Lì, a causa di quel poliziotto è morto un ragazzo. Se lo stato non se la deve prendere con gli assassini con chi se la deve prendere?

domenica 11 novembre 2007

Marco, che scriveva sui treni

di MICHELE SERRA

“Questo ragazzo Marco, quindici anni, che muore folgorato mentre pittura un vagone di metropolitana, in un tunnel buio e oleoso, infrattato nel budellino misero rubato alla città degli adulti... piccolo reo di un reato piccolo, imbrattatore di pubbliche lamiere con piccole gang di ragazzini che provano a lasciare un segno come e dove possono, piccola arte come le brutte poesie che si scrivono da adolescenti, intingendo la penna in quella feroce marea di ormoni che ti strappa dall´infanzia... dolore immenso dei genitori e degli amici terrorizzati dalla morte, e quella morte illegale, poi, quella morte clandestina. Ognuno di noi si ricorda quanto a fatica, quando disperatamente, a quell´età, si cercavano aria, spazio, vita, senso, nelle città ostili fatte solo per il lavoro dei grandi... nelle tristi città che fanno un sorriso, qui e là, solo a chi ha quattrini bastanti per farle sorridere, e altrove sono così noiose e anchilosate e fredde che i buffi/brutti fumetti dei graffitari ci affogano dentro come un ulteriore sbaglio, una varicella, l´ennesimo arredo infelice... perché le chiavi delle città ai ragazzini non le danno, e loro se le vanno a cercare dove possono, in certi angoli che diventano nidi di motorini e di lattine di birra, addosso a certi muri che alla fine, disegnino dopo disegnino, somigliano alle pareti di un gigantesco asilo, questo l´ho fatto io, purché si possa dire io ... e questa giostra trafelata dell´identità , essere qualcuno, disperatamente cercare di essere qualcuno perché non è ammissibile un destino da nessuno (vorreste, VOI, essere nessuno?)... quando chi sbaglia paga morendo... andare a far casino e non tornare più a casa, e perdere tutta intera la vita per guadagnarsi (in cambio? ma non c´è cambio!) una immeritata fama da eroe e, un meritato infinito dolore perché i ragazzi non dovrebbero mai morire... signor sindaco di Milano, vada, la prego, ai funerali di Marco, vada a dirgli anche per nostro conto quanto ci duole che sia morto. Ci vada sottobraccio al suo nemico Atomo Tinelli, gran capo degli imbratta-muri, veda se insieme, tra adulti pensierosi, vi viene qualcosa di bello e di gentile da dire e da fare, in memoria di un bambino e della sua bomboletta di guerra.”


Nel ricordo di Marco, morto a 15 anni, folgorato in un vagone della metro. Articolo di Repubblica del 18 giugno 2002.


Nelle grandi città di storia, vedere a volte scritto “W la figa” o frasi simili provoca rabbia e rancore verso quei vandali. Sapere che per ripulire una città come Milano da queste scritte (di questo si parla) costa 100 milioni di euro, fa arrabbiare ancora di più.

A volte però ci si sente prigionieri di una realtà che diventa squallore. Ci si libera, forse, facendo opere d'arte, insieme oscuro di miscele chimiche e capacità antiche. D'altronde il confine tra arte e illegalità non è ben definito, rimane solo il buon senso.

L'anti "Robin Wood"

Sembra proprio che all'europa piacciano i nobili.
L'aristocrazia inglese, fascinosa del suo essere, geneticamente portata ad essere superiore a tutti gli altri (almeno come convizione) riceve per i terreni, gli scoiattoli e le volpi due miliardi e 550 mila sterline all'anno, questi sono comprensivi degli aiuti da Bruxelles per il principe Carlo e i contributi per castelli di sua maestà.
Il fondo cui l'Europa attinge per questi soldi, è quello per i poveri contadini brittanici, cui va solo una piccola parte, coloro che traggono maggior beneficio dai finanziamenti non sono mai stati agricoltori con difficoltà economiche. Sembra però che tutto questo stia per finire. Mi chiedo quando si aboliranno le nobiltà in tutta Europa.

sabato 10 novembre 2007

nel 2070..

Ecco come si presenterà la Spagna secondo Greenpeace, tra 70'anni...Ovviamente il sopra è come è oggi.





Anche se non penso si arriverà a questo punto, oramai il processo di riscaldamento globale si è innescato, porvi rimedio è difficile.












venerdì 9 novembre 2007

piccoli ingegneri Crescono


E' uscita la prima scuola di ingegneria umanistica a Minimo Teatro, borgo Sforzacosta 275,
provincia di Macerata.

Il programma?
corretta dizione italiana, fonetica, lettura espressiva, recitazione in prosa e in versi, regia, composizione poetica e drammatica, traduzione corporea, microcinesica attoriale, musica di scena, concertazione e scrittura vocale, antropologia teatrale, organizzazione e produzione, strutturazione dello spazio scenico, laboratorio filmico, laboratorio radiofonico

siamo veramente ai limiti della follia.

ma che fa?



?

mercoledì 7 novembre 2007

racconto di mercoledì

Forse un italiano ad uccidere una straniera.

Che cosa strana quando tutti cercano di dare contro allo straniero, succede anche il contrario. Della malvagità umana purtroppo non se ne farà mai a meno, sopratutto di quella gratuita.

martedì 6 novembre 2007

Il Cronista
















“Cara Italia, perché giusto o sbagliato che sia questo è il mio paese con le sue grandi qualità ed i suoi grandi difetti”


“La mia generazione trovava eccitante leggere un'edizione della Divina Commedia con le illustrazioni del Dorè. Adesso sui muri c'è scritto Culo basso Bye bye. Capisce che è un po' diverso?”


“il nostro – diceva Flaiano – è un paese di giocatori del totocalcio”


“la 'devolution ', una parola che sembra inventata da Celentano"


Nell'infanzia della mia memoria, si trova un gran spazio per Enzo Biagi.

A tavola, quando ero bambino, perenne sarà il ricordo della sua trasmissione, che la maggior parte delle volte non riuscivo a comprendere ma che ispirava in me grande poesia, mi faceva capire la grande capacità di giornalismo del maestro.
Biagi è stato l'icona della vera informazione, della lotta ai poteri forti senza tuttavia portare urla, schiamazzi e tesi precostituite.


Ciao Maestro!

giovedì 25 ottobre 2007

Rapporti tra matematica ed altre forme del sapere umano - Ennio De Giorgi

Undici anni fa moriva Ennio De Giorgi, uno dei migliori matematici italiani. Il mio prof di termodinamica mi diceva proprio stamani che De Giorgi riusciva a vedere sino a 13 dimensioni nello spazio, il suo lavoro sulle derivate parziali è stato fondamentale per la matematica moderna.


La collaborazione con Nash, lo portò a formulare il teorema di Nash - De Giorgi, teorema che si riferisce alla regolarità di un certo tipo di funzionali. Sviluppò anche il calcolo delle variazioni, che gli potè valere un posto sulla enciclopedia Treccani del Novecento, cui ha scritto la voce insieme a Giuseppe Buttazzo (attuale professore di Analisi Matematica ad ingegneria meccanica di Pisa)

Oltre la matematica De Giorgi era un uomo profondamente religioso a cui unì la sua grande umanità sostenendo Amnesty International.

"U n discorso sulla matematica rivolto a persone di varia formazione e vari interessi culturali rischia, nello stesso tempo, di apparire superficiale o inesatto ai matematici e di risultare oscuro e poco comprensibile agli ascoltatori più lontani da questa scienza da molti ritenuta inaccessibile ai non specialisti. Se poi il discorso riguarda le relazioni tra matematica e altri rami del sapere vi è il rischio che ogni ascoltatore trovi cuori ed omissioni sui temi che conosce più da vicino. Mi rendo conto di questi pericoli aggravati dal fatto che conosco solo una piccola parte della matematica contemporanea ed ho informazioni ancora più scarse su altre discipline, ma credo che convenga correre qualche rischio, attenuato spero dall'indulgenza dei presenti, se ciò può contribuire a raggiungere gli scopi fondamentali di un'accademia che riunisce studiosi di diverse discipline e diversi paesi per promuovere attraverso una maggiore comprensione reciproca il progresso di tutte le scienze per il bene comune dell'umanità. Penso che tutti condividano queste aspirazioni e, più in generale, tutti gli ideali che gli antichi riassumevano nella parola filosofia, cioè "amore della sapienza". Questo mi incoraggia a parlare degli aspetti della matematica che mi sembrano più interessanti, in una prospettiva che considera tutte le scienze e le arti rami dell'unico albero della sapienza, che dal tronco comune traggono forza e bellezza. So bene che in questa prospettiva il mio discorso sarà molto incompleto, potrò solo accennare a qualcuna delle scienze e delle arti che nel corso dei secoli hanno influenzato lo sviluppo della matematica e sono state più influenzate da questa disciplina (per esempio fisica, ingegneria, economia, architettura, pittura, musica, filosofia). Mi limiterò perciò a qualche considerazione puramente qualitativa, che può servire a una riflessione sulla natura di queste influenze e comincerò con un esempio concreto, esponendo un problema abbastanza semplice (che in sostanza è stato risolto da Talete più di duemila anni fa). Pensiamo di avere un grande piazzale in cui è innalzata un'asta molto alta e vi i è pure un paletto verticale poco più alto di un metro e pensiamo di dover misurare con un normale metro da sarto l'altezza dell'asta. Una persona del tutto digiuna di matematica pensa che sia necessario arrampicarsi fino alla cima dell'asta; in realtà volendo trovare 1'altezza dell'asta senza salire così in alto basta misurare l'altezza del paletto, la lunghezza dell'ombra del paletto in una data ora del giorno e la lunghezza dell'ombra dell'asta alla stessa ora. E' chiaro che il rapporto tra l'altezza dell'asta e quella del paletto sarà uguale al rapporto tra le lunghezze delle due ombre. Per esempio, se il paletto era alto un metro e mezzo e la sua ombra era lunga ottanta centimetri, mentre 1'ombra dell'asta era lunga otto metri, 1'asta sarà alta quindici metri. Questo problema molto semplice rappresenta un caso particolare di un'ampia classe di problemi che potremmo riassumere con le parole seguenti: trovare l'altezza o la distanza di oggetti inaccessibili o difficilmente accessibili mediante misure eseguite su oggetti facilmente accessibili. Il desiderio di risolvere questi problemi ha fortemente contribuito allo sviluppo della geometria e della trigonometria e allo sviluppo parallelo degli strumenti ottici, che hanno reso possibile la risoluzione di problemi assai più difficili come il calcolo della distanza tra la Terra e i diversi pianeti. L'esempio ora citato consente già alcune riflessioni qualitative sulle relazioni tra matematica e fisica o ingegneria. Vediamo che da una parte i problemi della fisica e dell'ingegneria costituiscono spesso il punto di partenza per la riflessione matematica, dall'altra la matematica, pur non essendo in grado di darci da sola informazioni sulla realtà fisica in assenza di ogni dato sperimentale, consente di trarre conseguenze assai ampie da un complesso di dati apparentemente povero. Inoltre la proposta di un modello matematico di determinati fenomeni fisici può essere il punto di partenza per la stessa programmazione di nuovi esperimenti e la costruzione degli strumenti di osservazione. Questi fatti sono abbastanza ovvi per chiunque si occupi di matematica, fisica o ingegneria, forse lo sono meno per il pubblico e i mezzi d'informazione, portati a mettere in evidenza più 1'imponenza delle attrezzature e dei macchinari che non l'intelligenza necessaria, direttamente o indirettamente, per progettarli e per farne un buon uso. Per esempio nelle informazioni meteorologiche è spesso ricordato il computer di cui ci si serve, ma raramente viene fornita al pubblico qualche notizia sugli studi finora compiuti e sui problemi che ancora debbono essere affrontati per trovare dei buoni modelli matematici dell'atmosfera terrestre. Penso che un'informazione scientifica diretta a suscitare negli ascoltatori una coscienza più chiara delle radici ideali del progresso tecnico e scientifico potrebbe favorire la crescita di una cultura adeguata ai problemi del nostro tempo, capace di dominare realmente il mondo delle macchine, evitando atteggiamenti di cieca fiducia o di indiscriminato rifiuto. Cercando queste radici dobbiamo sottolineare con uguale attenzione le relazioni esistenti tra matematica, tecnica, economia, scienze sperimentali e l'autonomia della matematica che procede molto oltre i problemi suggeriti da queste discipline. Per esempio lo studio dell'aritmetica è stato inizialmente stimolato dalle necessità del commercio e, anche più tardi, la diffusione in Italia della matematica araba avvenne grazie ai rapporti commerciali che esistevano fra le due rive del Mediterraneo. Tuttavia, già in epoca antica furono scoperti e giudicati molti importanti teoremi di cui era difficile immaginare qualsiasi applicazione pratica, per esempio il teorema che afferma l'esistenza di infiniti numeri primi (ricordiamo che un numero primo è caratterizzato dalla proprietà seguente: è impossibile ottenerlo come prodotto di due numeri interi positivi più piccoli di lui, per esempio 7 è un numero primo, mentre non sono primi 8 che può essere ottenuto come prodotto di 2 per 4, oppure 9 che può essere ottenuto come prodotto di 3 per 3). Passando dall'aritmetica alla geometria, si può citare un altro teorema celebre nel mondo greco e ricordato anche in un dialogo di Platone (il Menone), cioè il teorema che afferma l'incommensurabilità del lato e della diagonale del quadrato (ricordiamo che due segmenti sono incommensurabili se non esiste alcun multiplo intero dell'uno che sia esattamente uguale a un multiplo intero dell'altro). Direi che lo sviluppo della matematica è stato sempre caratterizzato dall'intreccio di due fattori, il desiderio di meglio comprendere e dominare la realtà visibile e il desiderio di esplorare la realtà invisibile, spingersi verso il mondo misterioso dell' infinitamente piccolo e dell' infinitamente grande. Bisogna aggiungere che molte ricerche iniziate per puro desiderio di "esplorazione matematica" hanno poi trovato applicazioni del tutto inattese. Per esempio quando i greci iniziarono lo studio delle sezioni coniche (ellisse, iperbole, parabola) erano perfettamente convinti che il moto naturale dei corpi celesti fosse un moto circolare (o una combinazione di moti circolari) e questa convinzione fu condivisa anche dai primi sostenitori del sistema copernicano. Fu un'idea geniale di Keplero immaginare che la traiettoria di un pianeta potesse essere un'ellisse di cui il Sole occupa uno dei fuochi. L'esempio di Keplero può aiutarci a capire sia 1'autonomia della matematica rispetto alle scienze sperimentali, sia l'importanza del giudizio autonomo dello studioso di scienze sperimentali sui modelli matematici dominanti nel campo dei suoi studi. Quando il fisico, l'astronomo, 1'economista, l'ingegnere, si accorgono che le previsioni teoriche ottenute seguendo i modelli matematici più accreditati non sono confermate dall'esperienza, non debbono rassegnarsi a una presunta impossibilità di mettere d'accordo la teoria e la pratica, ma debbono cercare nuovi e migliori modelli matematici. In questa ricerca constateranno che, per quanto ampia sia la letteratura matematica, è difficile trovare modelli perfettamente adatti ad ogni esigenza ed è spesso necessario introdurre delle varianti in qualche nota struttura matematica per adattarla ai problemi che si vogliono risolvere. Riuscirà a trovare il modello migliore lo studioso che non solo ha l'intuito e 1'immaginazione necessari per interpretare i dati sperimentali, ma conosce almeno un po', la logica interna della matematica, trova questa scienza interessante per se stessa anche al di fuori delle sue possibili applicazioni e non la considera una semplice collezione di formule pronte per l'uso. D'altra parte anche il matematico potrà trarre scarsa ispirazione dai problemi delle scienze sperimentali e della tecnica se non ha un certo interesse per questi rami del sapere, indipendente dai suggerimenti che la matematica può trarne. Avendo ricordato alcuni risultati della matematica antica, non vorrei dare l'impressione che la matematica sia una scienza relativamente statica in cui tutti i maggiori problemi sono stati risolti. In realtà la matematica è una scienza in continuo sviluppo, in cui i problemi ancora aperti sono sempre più numerosi dei problemi risolti e il buon matematico, pur ammirando i grandi matematici dei secoli passati e riconoscendo che le loro idee sono sempre valide e stimolanti, è attento ai nuovi problemi, disposto a percorrere vie nuove e originali. Volendo dare un solo esempio delle maggiori scoperte matematiche di questo secolo (a mio avviso non abbastanza note al grande pubblico), ricorderò le teorie degli spazi a infinite dimensioni che hanno attualmente un'importanza fondamentale per tutta 1'analisi matematica e la fisica teorica. Possiamo dire che tutta la storia della matematica, in particolare quella più recente, è una conferma della celebre massima di Shakespeare, "vi sono più cose in cielo e in terra di quante se ne sognano nella vostra filosofia" e invitare i giovani più ricchi d'immaginazione ad avviarsi alla ricerca matematica consapevoli che vi sono ancora molte "parole" da trovare per meglio descrivere e meglio comprendere le realtà visibili e invisibili in cui siamo immersi. Vorrei pure che questo invito fosse in qualche modo tenuto presente, oltre che dagli scienziati, anche dai responsabili della politica, dell'economia e dell'informazione, per evitare che i giovani abbiano l'impressione che il lavoro del matematico sia un lavoro sostanzialmente ripetitivo, povero di significato culturale, di speranze, di avvenire. Accanto alle relazioni tra la matematica e le altre scienze, si dovrebbero considerare quelle egualmente importanti tra la matematica e le arti, cominciando dall'idea pitagorica dell'armonia delle sfere celesti, dai primi studi sugli accordi musicali, ricordare 1'importanza che nella scultura greca avevano le giuste proporzioni tra le diverse parti del corpo umano e nell'architettura greca le giuste proporzioni tra le diverse parti di un edificio, 1'attenzione con cui la Bibbia parla delle misure del Tempio progettato dal re Salomone, figura emblematica della sapienza ebraica. Mi dispiace di non avere la competenza necessaria per parlare del collegamento tra arti e matematica nel corso della storia umana, ma penso che la coscienza di questo collegamento sia importante per chi voglia ricuperare, nelle forme più adatte ai nostri tempi, 1'antica idea di sapienza che racchiudeva in sé scienze ed arti, giustizia e. misericordia. Avendo parlato della filosofia nel senso etimologico di "'amore della sapienza" non posso trascurare i significati più specifici che tale termine ha assunto, per esempio, nei nomi di varie materie d'insegnamento previste dai nostri ordinamenti universitari. Anche usando la parola filosofia nei suoi significati più specifici, troviamo che essa ha molte relazioni con la matematica. Ho già ricordato Pitagora e Platone, potrei ricordare i nomi di tutti i maggiori filosofi dall'antichità ai giorni nostri. Qui vorrei solo indicare alcuni problemi che la matematica può suggerire al filosofo, per questo comincerò col segnalare le parole di uno dei maggiori matematici di questo secolo, G.H. Hardy, il quale ne1 suo libro "Apologia di un matematico" affermava che una definizione soddisfacente della "realtà matematica" risolverebbe buona parte dei problemi della metafisica. Mi auguro che la riflessione sulla realtà matematica venga ripresa dai filosofi più coraggiosi e creativi, che pur apprezzando la storia della filosofia non hanno perso il desiderio di "fare della nuova filosofia". Penso che per essi potrà essere assai stimolante riflettere sui caratteri singolari della scienza matematica, per esempio 1'intreccio tra amore per la tradizione e spirito innovativo, sul fatto che nel corso della storia fisica e astronomia hanno spesso cambiato i propri modelli matematici del mondo fisico, ma tutti questi cambiamenti hanno lasciata immutata la condizione che il mondo fisico possa essere compreso e in parte dominato solo mediante la matematica. Un altro fatto su cui mi sembra convenga riflettere è 1'importanza che ha per il fisico e per l'ingegnere il calcolo infinitesimale, cioè un ramo della matematica le cui basi teoriche sembrano più lontane dalla nostra concreta esperienza della realtà visibile. Forse sarà perfino possibile che qualcuno dica una parola nuova sull'antica disputa tra realisti e nominalisti, tra chi, come Hardy e la maggior parte dei "matematici creativi", ritiene che esista una "realtà matematica", anche se non è soddisfatto di ciò che su questa realtà hanno detto i filosofi antichi e moderni, e chi pensa che tutta la matematico sia solo un sistema un po' complicato di convenzioni linguistiche. Si potrebbe pure riflettere sugli aspetti storici e metastorici delle teorie matematiche sul fatto che esse conservino tutto il loro valore anche per chi ha dimenticato 1'ambiente e il momento storico in cui sono state proposte, che teoremi nuovi e belli possono essere dedotti da vecchi assiomi formulati molti secoli prima. Da questo punto di vista potremmo dire che le buone teorie matematiche sono come i buoni vini, che migliorano invecchiando. Avendo parlato di assiomi debbo accennare ai "sistemi assiomatici" che rappresentano la forma canonica in cui vengono formulate le teorie matematiche. Senza addentrarmi in una esposizione della logica matematica (che altri potrebbero fare meglio di me), ricorderò che in un sistema assiomatico vi è un elenco di nomi che designano i "concetti primitivi" (per esempio numero, punto, retta, piano) e un certo numero di proposizioni non dimostrate che sono appunto gli assiomi del sistema. Partendo da questa base si possono introdurre nuovi concetti derivabili dai primi mediante opportune "definizioni" e dimostrare alcune conseguenze interessanti degli assiomi dette "teoremi". Ho già notato che alcuni importanti teoremi possono essere dimostrati molti secoli dopo la formulazione degli assiomi da cui discendono e posso aggiungere che le conseguenze dei sistemi di assiomi più importanti della matematica sono inesauribili. L'idea di formulare anche le teorie filosofiche come sistemi assiomatici ha precedenti illustri (basta pensare a Spinoza) e forse potrebbe essere ripresa da qualche filosofo. Io mi limiterò a segnalare alcuni vantaggi dei sistemi assiomatici usati in matematica. Il primo è la possibilità di una comunicazione chiara e senza equivoci tra persone che vivono e operano in paesi lontani e in ambienti culturali molto diversi, il secondo vantaggio è la possibilità di giudicare obiettivamente un'affermazione o un gruppo di affermazioni senza essere influenzati da pregiudizi (favorevoli o sfavorevoli) riguardanti gli autori. In matematica non è necessario accettare o respingere in blocco 1'opera di un dato autore, si possono trovare errori nelle opere di grandi matematici e può accadere che un bellissimo teorema sia dimostrato da un autore prima sconosciuto. E' più difficile che nelle opere di un buon matematico si trovino affermazioni complicate, oscure, poco interessanti per cui non vale la pena di stabilire se sono vere o false; generalmente questo tipo di affermazioni si trova nelle opere degli autori mediocri. Infine noterò che un giudizio serio ed obbiettivo su un sistema di assiomi deve tener conto anche dei teoremi che dal sistema sono stati dedotti e quindi potrà essere sempre meglio approfondito quando aumenta il numero di tali teoremi: anche in matematica vale il principio per cui l'albero si giudica dai suoi frutti. Anche chi non crede nella possibilità di trasferire integralmente il metodo assiomatico dalla matematica alle scienze umane può tentare di scrivere qualcosa che assomigli ad un sistema assiomatico e ne abbia almeno in parte i vantaggi. Volendo dare 1'esempio di un tentativo, a mio avviso ben riuscito, di esposizione di tipo assiomatico, ricorderò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948, il cui testo mi sembra molto chiaro, pienamente comprensibile anche da parte di persone che hanno una cultura molto limitata in campo storico, giuridico, politico. Penso che questa dichiarazione può essere un punto di riferimento per chi vuole impegnarsi nella difesa delle persone, famiglie, popoli perseguitati e oppressi, rifugge dalla faziosità, dall'arroganza, dalla violenza (anche solo verbale ), preferisce la solidarietà con gli umili all'ira contro i potenti, cerca di sostenere coerentemente e imparzialmente le ragioni della giustizia e dell'umanità anche nei confronti di autorità che rispetta, di stati e governi che considera amici. A questo proposito vorrei notare che con una spesa assai modesta si potrebbe distribuire in tutte le scuole il semplice testo della Dichiarazione (senza aggiunte di note e commenti), lasciando che insegnanti, studenti, famiglie riflettano insieme su uno scritto che non è una raccolta di slogans, non sollecita adesioni passive, rassomiglia piuttosto a una serie di assiomi, ciascuno dei quali richiede un'attenta valutazione e un libero assenso (o dissenso). Leggendo con attenzione la Dichiarazione, anche chi non è esperto in campo storico, politico, giuridico si sente interrogato sul significato che hanno per lui parole come diritti, doveri, libertà, giustizia, pace, ordine, sicurezza, individuo, persona, famiglia, gruppi etnici, religiosi, professionali, comunità, popoli, nazioni, città, stati, democrazia. Per concludere i1 discorso sulla matematica, la sapienza, i sistemi assiomatici, dopo aver parlato di un testo moderno come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ricorderò un libro scritto molti secoli fa, che contiene molti "assiomi" riguardanti la sapienza su cui penso che possa ancora riflettere un uomo del nostro tempo, cioè il Libro dei Proverbi. Ne citerò qualche breve passo, tratto dall'antica traduzione italiana della Bibbia di Antonio Martini. Il giusto ha a cuore la causa dei poveri; 1'empio non se ne informa (PV.XXXIX, 7). Chi corregge un uomo, sarà alla fine più accetto a lui, che quegli il quale con lingua lusinghiera lo inganna (PV. XXVIII, 25). Hai tu veduto un uomo che si crede sapiente? Più di lui può avere speranza chi non sa nulla (PV.XXVI, 12). Non grida ella forse la sapienza ... migliore dell'oro e delle pietre preziose è il mio frutto, e dell'argento più fino ... il Signore mi ebbe con seco nel cominciamento delle sue opere, da principio, prima che alcuna cosa creasse ... quando Egli dava ordine ai cieli, io ero presente: quando con certa legge nei loro confini divideva gli abissi (PV. VIII, 1, 19, 22, 27). La sapienza si è fabbricata una casa, ella ha lavorato sette colonne ... ha mandato le sue ancelle ad invitare la gente ... venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino (PV. IX, 1, 3, 5)."

sabato 20 ottobre 2007

"Al posto di un normale bipolarismo in Italia c'è stata una bipolarizzazione impazzita per cui quando Berlusconi ha cacciato alcuni giornalisti dalla Rai, noi non potevano fare altro che schierarci. Un meccanismo perverso che non salva chi è indipendente, chi non ha un referente politico. E infatti io mi chiedo come mai l'unico che non è tornato in Rai sia Luttazzi. E il paradosso è che ne è stato cacciato per un'intervista a Travaglio su dell'Utri! Ora Travaglio è ogni settimana in tv con Santoro e Luttazzi è scomparso. Anche noi del centrosinistra dobbiamo riflettere su questo modo di fare".

Nicola LaTorre - Corriere della Sera 6 Ottobre

Meno male, almeno qualcuno di normale c'è..

domenica 14 ottobre 2007

L'ultimo giorno dei ds

stamattina devo dire che ero felice che fosse il 14 ottobre. Finalmente. Finalmente.
Come l'Italia del dopoguerra, speranzosa di futuro, oggi viene fuori una nuova discontinuità con il passato.
Il 14 ottobre è una data storica. Nello stesso giorno del 1964 Martin Luther King , vince il nobel per la pace, ed un altra serie di imprese e scoperte.

Una riforma che va fatta subito, è la legge sul conflitto di interessi. Subito. Contemporanteamente va fatta la legge elettorale, sennò non si va da nessuna parte.

vignetta di Staino

domenica 7 ottobre 2007

L'amaca

di MICHELE SERRA

Giù le mani da Santoro, naturalmente. Al quale però, in omaggio alla famosa completezza dell'informazione, propongo una puntata di "Annozero" sull'insegnante in servizio a Viterbo che si è fatta cinque giorni di malattia alle Bahamas. E un giudice che le ha dato ragione. Magari ci aggiungerei il caso (che conosco personalmente) di un'altra insegnante in servizio a Bologna che ha avuto un mese di malattia, trascorso nel paesello natio, per essersi "slogata un dito spostando dei libri". E poichè il preside ha osato protestare, il medico del lavoro lo ha querelato.
Caro Santoro, e caro Ballarò, puntate il dito contro la Casta, ma per carità non dimenticate le tante vice- Caste, castine e sottocastine che sono le brulicanti cellule dello sfascio nazionale. I furbini e le furbette che si aggiustano la vita fregando il prossimo e magari sono gli stessi che eleggono i politici meno raccomandabili. Già una volta, nei primi anni Novanta, questo paese ha processato il palazzo (e i capi d'imputazione , sia chiaro, c'erano tutti) ma ha dimenticato di processare anche se stesso. Sarebbe meglio non ripetere lo stesso errore. Il clima è pessimo, e il vizio antico di sputare sul potere senza mai guardarsi allo specchio è diventato insopportabile.

apparso sulla Repubblica di oggi

Condivido a pieno, Serra è mitico. Aggiungerei che ballarò e annozero qualche volta si potrebbero occupare anche di altri temi, come la scuola, la mafia, la mala università. Vabbè.

domenica 30 settembre 2007

Zitti Zitti

di Stefano Bartezzaghi

Può rinnovarsi la scenografia, cambiare qualche dettaglio, ma all' "eredità"-il game show - di raiuno- qualcosa che non cambia mai : le frasi con cui Carlo Conti accompagna le diverse fasi di gioco. Nel paese d'origine del concorrente "tutti fanno il tifo per te"; i soldi guadagnati fino a lì si chiamano - un pò impropriamente- "montepremi, e quando un concorrente perde il suo "montepremi" a favore del proprio avversario Conti esclama "Colpo di scena!", anche se il caso è comunissimo e ricorrente ( come è inevitabile con domande del genere: "in quale animale la lingua è l'organo dell'olfatto").
Ogni santa volta, inoltre, il conduttore qualificherà i "sessantmila euro" che "zitti zitti se ne vanno nelle casse" dell'avversario.
Quest'ultima formula deve avere per Conti un certissimo valore magico. Il gioco non può andare avanti, non si può dare la linea al Tg "nuova formula"- come i dentifrici- insomma non ci si può addentrare nella notte televisiva senza quegli euro che "passano nelle casse" di qualun altro, e (attenzione!) lo fanno proprio "zitti zitti": senza fiatare.

Articolo di Repubblica del 28/09/07

sabato 29 settembre 2007

Quanto ci costa la chiesa?

Quei venduti e corrotti (secondo Grillo) giornalisti di repubblica, hanno fatto un'inchiesta, una cosa normale; ebbene hanno scoperto che la chiesa costa agli italiani 4 miliardi di euro all'anno! Ovvero quanto tutta la poltica messa inieme, o una mezza finanziaria, un ponte sullo stretto o un Mosè all'anno!

Solo che questi non sono eletti da nessuno! Questo dimostra che non stanno solo nella politica i problemi dell'Italia, anche se un taglio degli stipendi del 50% sarebbe un segnale forte e giusto.

uno stralcio di articolo lo potete trovare qui

"la Chiesa sta diventando per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini, che con la loro prestesa di amministrare i cristianesimo ufficiale sembrano ostacolare di più il vero spirito del cristianesimo"
Quel teologo che era Joseph Ratzinger

venerdì 28 settembre 2007

non ci sto!

Non ci sto alla finta democrazia. Non ci sto al populismo. Non ci sto all'attacco agli intellettuali. Non ci sto all'ignoranza. Non ci sto a Grillo.
Dovevamo aspettare Grillo per avere un pò di democrazia? No, certo che no.
Il suo blog è tutto tranne che democratico, solo lui fa informazione, non regola i commenti che finiscono in uno sproliloquio di parole inutili che allontanano il problema di fondo. Se ci fate caso lui è unilaterale, non risponde mai ai commenti, questi finiscono per diventare sole parole da bar, che nessuno legge e che in definitiva non interessano a nessuno; alimentano solo la sua immagine populistica.

E' un populista perchè tende ad usare parole semplici come il "vaffanculo" per attirare la folla, perchè alla folla non interessano i discorsi complessi, alla Galimberti, alla Eco, ma interessano gli insulti i vari "nano" che diffonde non sono giustificati da niente e da nessuno.
E' un populista perchè se l'80% degli italiani dicesse che la pena di morte è giusta, lui direbbe che questa è una scelta democratica!
Il populismo è questo, incarnare le frustrazioni di un popolo e cerca in tutti i modi di farle proprie, è credere che un popolo sia un tutt'uno, un unica entità.
Yves Mèni ha pubblicato diversi studi sul populismo, una frase che mi ha colpito è questa: "Il populismo emargina una cosa fondamentale per la democrazia ovvero la limitazione del potere e la difesa dello stato di diritto".

Grillo cavalca l'onda dell'ignoranza di questa italia sgangherata del 2007.
Fa bene Sgarbi a dire che Grillo non sapeva nemmeno che statua aveva alle spalle a Bologna perchè è il primo degli ignoranti.
Fa presto lui a dire che i giornalisti sono tutti dei venduti: Scalfari, Mieli, Berselli, Pansa, Serra, Mauro, Merlo e tutti quelli meno conosciuti che fanno inchieste, scoprono che certi ospedali sono fatiscenti, scoprono le mafie, i corrotti e guadagno 1000€ al mese e lui invece 50000 a sera. Chi è più corrotto?
Mette insieme i grandi politici, i sindaci che combattono ogni giorno la mafia, i politici che hanno preso una multa in un sincretismo che fa di un errore umano una condanna universale. Allora di Gramsci cosa dobbiamo dire? Anche lui era stato messo dentro per le sue idee no?

A volte come dice Galimberti, si dovrebbe cercare un pò di silenzio, per non ascoltare discorsi che si potrebbero benissimo dire noi stessi o fare monologhi che si potrebbero ascoltare da qualisiasi altra persona. In questo dialogo sempre uguale che televisione e comici ci propongono, il silenzio potrebbe essere un'opzione per trovare noi stessi.

mercoledì 26 settembre 2007

San Pietroburgo, Montaldo torna con Dostojevskij.

Giuliano Montaldo, uno dei re del cinema italiano torna con una grande storia. La biografia di Fëdor Mikhajlovic Dostojevskij, “San Pietroburgo”.
"Il film racconta- dice Montaldo - lo stato d'animo di un uomo, Dostojevskij, con un passato da giovane rivoluzionario e a un passo dal plotone di esecuzione che si trova ora coinvolto con un gruppo di terroristi, forse uno dei primi nella storia. Ma come il film vuole dimostrare, con le bombe non si va avanti e lo scrittore si troverà a dover sventare le nuove azioni di questo gruppo che aveva nei suoi piani lo sterminio di tutti e trenta i componenti della famiglia dello zar"

In questi giorni si sta parlando molto di pena di morte, Dostojevskij era fermamente contrario come scrive in Delitto e castigo. Ma Dostojevskij è quello dei fratelli Karamazov , uno dei massimi capolavori mondiali.

Questo film, è la storia di un uomo, della Russia, degli zar. Le musiche saranno di Ennio Morricone. L'uscita era prevista per questo mese, ma non ne sento ancora parlare.
Penso sia tornato il cinema italiano.


link : San Pietroburgo

giovedì 20 settembre 2007

Quei terroristi di casa nostra

La decisione del sindaco Cofferati di non concedere (per adesso) l'area per la costruzione della moschea a Bologna fa certamente discutere.
Forse questo non era il momento, ma certamente era una possibilità di aprire le strade al dialogo.
Se chiedete ad un bolognese se trova giusto costruire la prima moschea nella sua città, questa risponderà di no. Ovviamente non sa che la moschea a Bologna c'è già e funziona benissimo anche se è in un luogo scomodo sia per i cittadini musulmani che per gli altri.
Quindi le persone non sono informate sui fatti, dicono che non sono stati consultati, ma non sono nemmeno consultati quando costruiscono chiese cattoliche o di qualsiasi altra religione. Non si capisce di cosa si stia parlando.
Sicuramente la situazione è cambiata dopo l'11 settembre, ma è innegabile che per combattere il terrorismo, le mele marce islamiche, bisogna esser più aperti possibile con tutti gli altri; la costruzione di una moschea trasparente verso la società, aperta ai controlli, è sicuramente migliore dei bunker dove si rifugiano i veri terroristi. L'Islam è una religione che ha più di un miliardo di seguaci in tutto il mondo, considerarli tutti terroristi è folle.
La tesi che si propone più spesso, anche quella folle della Fallaci, è letteralmente che " noi non possiamo neanche andare là con la croce e ci fanno fuori!", ma la differenza rispetto a loro è che noi siamo una civiltà avanzata, non superiore certo, ma abbiamo una cultura della democrazia e della tolleranza.
I terroristi purtroppo li abbiamo anche a casa nostra, come ad esempio quelli che hanno lanciato una molotov alla moschea di Segrate.
Naturalmente ci deve essere un rispetto della legalità e della giustizia da parte di tutti, e certe frasi dette da alcuni musulmani possono far discutere e accendere un pò di rabbia, ma non è moralistico cercare di instaurare il dialogo. Quelli che dicono il contrario evidentemente non conoscono la storia.

sabato 15 settembre 2007

la forza della Sragione

Basta con Oriana Fallaci!
Da molti infatti è ritenuta la sorella di Calderoli e di Bush.
E' stata una terrorista internazionale (come dichiarato anche da Franca Rame). Sugli immagrati clandestini che arrivano con i barconi era dell'opinione che bisognasse tirarli a mare.

Ha dimostrato la sua pochezza umana con tante dichiarazioni, una tra le quali rispetto ad una moschea che doveva esser costruita in Val D'Elsa :

«Se sarò ancora viva andrò dai miei amici di Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e lo faccio saltare per aria. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. Quindi, lo faccio saltare per aria!»

venerdì 14 settembre 2007

propongo il terrone-day

Per rispondere al Maiale-day di Calderoli, propongo che tutti i terroni d'Italia marcino sulla padania, in modo da infettarla e liberarci dalla stupidità leghista.

mercoledì 12 settembre 2007

Raccontare una storia per salvare gli uomini , David Grossman

Non potevo non pubblicare questo articolo (pubblicato su "la repubblica" il 5 settembre scorso) di David Grossman, uno dei miei autori preferiti (e non solo certo il mio), oltre che uno dei più grandi scrittori israeliani insieme ad Amos Oz. L'autore di "vedi alla voce: amore", inaugura quest'anno il festival della letteratura di Berlino, lo fa con questo articolo spendido che mi ha colpito enormemente, non so se in un articolo successivo sarò in grado di commentarlo, come ha fatto per esempio Eugenio Scalfari per la grande complessità dei temi trattati. Da leggere.

Essere uno scrittore israeliano che apre il festival della letteratura di Berlino è per me un grande onore. Questa frase sarebbe stata impensabile e impronunciabile fino a pochi anni fa e ancora oggi non posso essere indifferente riguardo al suo significato. Nonostante tra Germania e Israele – e tra israeliani, ebrei e tedeschi – si mantengano relazioni strette, una frase come questa non è né neutra né ovvia. C´è un posto nella coscienza, nel cuore, in cui certe frasi devono passare attraverso le lame affilate del tempo e della memoria, come un raggio di luce, per scomporsi in una miriade di suoni e di colori. E qui, a Berlino, non posso che cominciare il mio discorso con queste parole, che si scompongono dentro di me attraverso le lame affilate del tempo e della memoria. Sono nato e cresciuto a Gerusalemme, in un quartiere, in una famiglia, dove la gente non era nemmeno in grado di pronunciare la parola «Germania». Faticava persino a dire «Shoah». Parlava di «ciò che è successo laggiù». È interessante notare che in ebraico, in yiddish, o in qualsiasi altra lingua parlata da ebrei, la Shoah è per lo più «qualcosa che è successo laggiù», diversamente da «ciò che è accaduto allora» per i non ebrei. C´è una differenza abissale tra laggiù e allora. Allora è un avverbio di tempo che indica un passato che non esiste più. Laggiù è un avverbio di luogo e allude al fatto che da qualche parte, in un qualche posto, ciò che è successo ancora cova sotto le ceneri, si rafforza, e potrebbe tornare a esplodere. Non è una cosa finita. Di certo non per noi ebrei. Da bambino sentivo molto spesso parlare della «belva nazista» ma quando domandavo agli adulti chi fosse, loro si rifiutavano di spiegarmelo.Dicevano che ci sono cose che un bambino non deve sapere. Più tardi scrissi in Vedi alla voce: amore di Momik, figlio di sopravvissuti all´Olocausto al quale i genitori non rivelano ciò che è avvenuto laggiù. Momik, pieno di paura, immagina la belva nazista come un mostro che domina un paese chiamato laggiù, maltratta le persone a cui vuole bene, fa cose che lasciano ferite indelebili e nega loro la possibilità di avere una vita normale, serena. (...) La mia generazione, quella dei nati nei primi anni Cinquanta in Israele, viveva in un silenzio carico di presenze, densamente affollato. Nel quartiere in cui abitavo c´era gente che ogni notte aveva incubi, urlava. Più di una volta, quando entravamo in una stanza in cui degli adulti raccontavano episodi della guerra, la conversazione si interrompeva. Ma di tanto in tanto riuscivamo a captare frammenti di frasi: «L´ultima volta l´ho visto in Himmlerstrasse, a Treblinka»; «Ha perso i due figli durante la prima retata». (...) Quando avevo sette anni si è tenuto a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann e allora abbiamo cominciato ad ascoltare le descrizioni delle atrocità anche durante la cena. La mia generazione ha perso l´appetito, e non solo per il cibo. Lo ha perso per qualcosa di più profondo che noi bambini, allora, naturalmente non capivamo e che ci si è chiarito in seguito. Forse era la perdita dell´illusione che i nostri genitori potessero proteggerci da ciò che ci faceva paura, o della convinzione che noi ebrei potessimo un giorno vivere sicuri e sereni come gli altri popoli. Ma forse, più di tutto, percepivamo la perdita della nostra naturale fiducia di bambini negli altri, nella bontà del prossimo, nella sua compassione. All´incirca vent´anni fa, quando mio figlio maggiore aveva tre anni, nella scuola materna che lui frequentava fu celebrata, come tutti gli anni, la giornata della memoria per le vittime della Shoah. Lui non capì molto di quello che gli venne spiegato. Tornò a casa confuso e spaventato. «Papà, cosa sono i nazisti? Cos´hanno fatto e perché?». Io non volevo dirglielo. Io, che ero cresciuto in un silenzio che mi aveva provocato ansie e incubi, che avevo scritto un libro su un bambino che era quasi impazzito a causa del silenzio dei genitori, capii all´improvviso perché i miei e quelli dei miei amici avevano taciuto. Sentivo che se avessi raccontato a mio figlio ciò che era avvenuto laggiù, se glielo avessi accennato, pur con enorme delicatezza, qualcosa della sua purezza di bambino di tre anni sarebbe stato contaminato. Sentivo che nel momento in cui quelle possibilità crudeli si fossero formulate nella sua coscienza innocente, lui non sarebbe mai più stato lo stesso bambino. E non sarebbe più stato un bambino. Dopo che fu pubblicato Vedi alla voce: amore in Israele alcuni critici scrissero che appartenevo alla «seconda generazione della Shoah», che ero figlio di «sopravvissuti all´Olocausto». Non lo sono. Mio padre arrivò nella terra di Israele dalla Polonia nel 1936. Mia madre è nata in Palestina, prima della fondazione dello Stato. Eppure sono figlio di «sopravvissuti alla Shoah» perché anche a casa mia, come in tante altre case israeliane, era teso un filo carico di angoscia che potevamo toccare in qualsiasi momento. E anche se stavamo molto attenti e non facevamo movimenti bruschi, avvertivamo un costante fremito di insicurezza nella possibilità di esistere, di sospetto nei confronti degli altri e di cosa questi altri potessero farti quando meno te lo aspettavi. (...) Chi come me è nato nell´Israele del dopo Shoah si porta dentro la sensazione - di cui ci era proibito parlare allora e che forse non eravamo nemmeno in grado di esprimere a parole - che noi ebrei intratteniamo un dialogo diretto con la morte. Che la vita, anche quando è piena di energie e di speranze e della fertilità di una nazione giovane, in rinnovamento, è più che altro uno sforzo enorme, costante, di sfuggire alla minaccia della morte. Nell´Israele degli anni Cinquanta e Sessanta, non solo in momenti di disperazione ma anche in quelli in cui l´esaltazione per la «creazione di una nazione» si affievoliva soltanto di poco, in cui ci sentivamo un po´ stanchi della nostra formidabile rinascita, in quegli attimi di malinconia, privata e nazionale, potevamo percepire la morsa di gelo che ci stringeva il cuore e ci sussurrava con voce sommessa ma perentoria: la vita svanisce così in fretta, tutto è talmente fragile. Il corpo, la famiglia. La morte è reale, tutto il resto è un´illusione. Nel momento in cui ho capito che sarei diventato uno scrittore, ho capito anche che avrei scritto della Shoah. Penso che queste due consapevolezze siano nate in me simultaneamente. Forse anche perché fin da giovane ho avuto la sensazione che tutti i libri che avevo letto sulla Shoah non rispondessero a domande semplici, vitali, che dovevo pormi e alle quali dovevo rispondere da solo. E più il tempo passava più sentivo crescere in me la sensazione che non sarei stato in grado di comprendere la mia esistenza in Israele come uomo, padre, scrittore, israeliano, ebreo, fintanto che non avessi scritto della vita che non avevo vissuto laggiù, durante la Shoah, e cosa mi sarebbe successo se fossi stato una vittima, o uno degli assassini. Perché volevo sapere entrambe le cose. Non mi accontentavo di una.(...) Volevo sapere cosa avrei fatto per contrastare questo tentativo di annientamento. Quale scintilla di umanità mi sarebbe rimasta dentro in una realtà il cui unico obiettivo era spegnerla. A una domanda come questa ognuno deve rispondere da sé. Ma forse posso dare un suggerimento. Nella tradizione ebraica c´è una leggenda, o una credenza, secondo la quale in ogni uomo esiste un ossicino chiamato «luz» - «nocciolo» in ebraico - sistemato in cima alla colonna vertebrale. Questo ossicino racchiude l´essenza dell´anima ed è indistruttibile. Anche se l´intero corpo dovesse disintegrarsi o bruciare, il nostro «nocciolo» rimarrà intatto, preserverà la peculiarità che c´è in ciascuno di noi, la radice del nostro essere. Ed è a partire da questo ossicino che l´uomo si ricreerà nel giorno della resurrezione dei morti.(...) * ** La seconda domanda che mi sono posto mentre scrivevo Vedi alla voce: amore è correlata alla prima e in un certo senso scaturisce da essa. Mi sono chiesto come una persona normale - come lo erano molti nazisti e loro sostenitori - possa entrare a far parte di un meccanismo di distruzione di massa. In altre parole cosa devo reprimere, offuscare, rimuovere, uccidere di me per poter collaborare a un genocidio programmato, per essere in grado di uccidere un altro essere umano, per volere lo sterminio di un popolo intero, o accettarlo in silenzio. Forse però dovrei affinare la domanda: in questo momento sto forse collaborando - coscientemente o inconsapevolmente, attivamente o passivamente - a un processo il cui scopo è danneggiare un altro uomo o un gruppo di persone? «La morte di un uomo è una tragedia», ha detto Stalin, «ma quella di milioni è statistica». Parliamo per un attimo di come una tragedia si trasforma in statistica. Non dico, naturalmente, che siamo tutti degli assassini. È ovvio che no. Eppure la maggior parte di noi sembra quasi indifferente alla sofferenza di popoli interi, vicini e lontani, o a quella di centinaia di milioni di esseri umani poveri, affamati, ammalati, sia nelle nostre nazioni che in altre parti del mondo. Impariamo a non curarci del dolore di estranei che lavorano per noi, del patimento di popoli che vivono sotto occupazione - nostra o di altri -, o in un regime dittatoriale o in condizioni di schiavitù. Con stupefacente facilità creiamo meccanismi che hanno il compito di farci prendere le distanze dalla sofferenza altrui. Riusciamo, nella nostra coscienza e a livello emotivo, a ignorare il nesso causale che esiste fra la prosperità economica delle nazioni occidentali e la povertà altrui; tra il nostro benessere e le vergognose condizioni di lavoro di altra gente; tra la qualità della nostra vita, i nostri condizionatori d´aria e le nostre automobili, e le sciagure ecologiche che si abbattono su altri. Questi «altri» vivono in condizioni talmente terribili che per lo più non hanno nemmeno la possibilità di porre domande come quelle che pongo io ora. Non è solo il genocidio ad annientare il «nocciolo» di un essere umano. Anche la fame, la povertà, le malattie, l´esilio spengono e uccidono gradualmente l´anima del singolo, e talvolta di un popolo intero. Noi non vogliamo assumerci nessuna responsabilità personale per le cose terribili che avvengono a poca distanza da noi. Né mediante azioni dirette né limitandoci a esprimere solidarietà. Ci fa comodo - quando si parla di responsabilità personale - far parte di una massa indistinta, priva di volto, di identità, e all´apparenza libera da oneri e colpe. E probabilmente è questa la grande domanda che l´uomo moderno deve porsi: in quale situazione, in quale momento, io divento «massa»? Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. E siccome noi siamo uomini di letteratura, ne sceglierò una conforme ai nostri interessi. Ho l´impressione che ci trasformiamo in «massa» nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico, e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri. Io mi trasformo in «massa» quando cesso di formulare con le mie parole compromessi e scelte morali che sono disposto a compiere.(...) *** Ricorro alla figura dello scrittore ebreo polacco Bruno Shultz per illustrare l´incontro tra un singolo che possedeva un linguaggio estremamente peculiare e un «linguaggio di massa» - l´incontro tra la tragedia e la statistica. Mi riferisco alla vicenda del suo assassinio durante la seconda guerra mondiale, nel ghetto della sua città, Drohobycz. La storia è nota, e forse non è neppure vera, è una leggenda, un aneddoto sul quale negli anni si è costruito «il mito di Shulz» fra i suoi estimatori in tutto il mondo. Ma anche se fosse un aneddoto, tocca un punto profondo, vero. «Gli aneddoti sono sostanzialmente fedeli alla verità» scrive Ernesto Sabato, «proprio perché sono finzioni, inventati in dettaglio per adeguarsi con grande precisione a una certa persona». E infatti, anche se questa particolare storia sulla morte di Shulz non è vera, ciò che essa esprime è sostanzialmente fedele alla verità ironica e tragica di quest´uomo, all´orrore del possibile incontro tra il «singolo» e la «massa», e quindi la racconterò così come l´ho sentita la prima volta. Nel ghetto di Drohobycz, durante la guerra, un ufficiale delle Ss aveva costretto Shulz a dipingere un affresco a casa sua. Un avversario di quell´ufficiale, che aveva litigato con lui a causa di un debito di gioco, incontrò per caso Shulz per strada, estrasse la rivoltella e gli sparò, per vendicarsi dell´uomo per il quale lui stava lavorando. Stando alle voci l´assassino si recò poi dal suo rivale e gli disse: «Ho ucciso il tuo ebreo». E quello rispose: «Benissimo, e ora io ucciderò il tuo». Venni a conoscenza di questa storia subito dopo aver finito di leggere per la prima volta il libro di Bruno Shulz. Ricordo che chiusi il volume e uscii di casa. Girai per ore come immerso in una nebbia. Ero in uno stato in cui, per dirla con semplicità, non volevo più vivere. Non volevo continuare a esistere in un mondo in cui potevano accadere cose come questa, in cui ci sono persone come quegli ufficiali nazisti che pensavano cose come queste. In cui esiste un linguaggio che permette a mostri simili di pronunciare frasi quali «Ho ucciso il tuo ebreo» e «Benissimo, ora io ucciderò il tuo». Scrissi Vedi alla voce: amore per restituire a me stesso, fra le altre cose, la voglia di vivere, l´amore per la vita. E forse anche per guarire dall´offesa che provavo - a nome di Bruno Shulz - per il modo in cui il suo assassinio era stato descritto e «spiegato». Una spiegazione disumana, «di massa». Come se gli esseri umani fossero pedine di scambio, o rotelle di un meccanismo, o accessori che si possono sostituire con altri, o soltanto parte di una statistica. Negli scritti di Bruno Shulz ogni frammento di realtà ha una propria personalità. Ogni nube passeggera, ogni mobile, ogni manichino di sarto, ogni ciotola di frutta, ogni cagnolino, ogni raggio di sole, ogni oggetto, anche il più banale, possiede una propria individualità, una propria essenza, un proprio carattere. E in ogni sua pagina, in ogni suo brano, esplode la vita, ricca di contenuto e di significato. Una vita che all´improvviso merita questo nome. Un´opera enorme che avviene simultaneamente in tutti i substrati del conscio e dell´inconscio, dell´illusione, del sogno, dell´incubo, dei sensi, dei sentimenti, di un linguaggio ricco di sfumature. Ogni riga è una ribellione contro ciò che Shulz definisce «il muro fortificato che grava sul significato»; è una protesta contro la desolazione, la banalità, la routine, la stupidità, gli stereotipi, la tirannia del semplicismo, della massa. (...) Quando terminai di leggere il libro di Shulz capii che lui mi dava, con la sua scrittura, una chiave perché io potessi scrivere della Shoah. Non di morte e di sterminio ma della vita, di ciò che i nazisti avevano distrutto meccanicamente, in maniera industrializzata, di massa. Ricordo anche che, con l´arroganza del giovane scrittore, dissi a me stesso che volevo scrivere un libro che tremasse sullo scaffale. Che fosse vitale come un battito di ciglia nella vita di un uomo. Non una «vita» tra virgolette che trascorre fiacca, ma una come quella che Shulz ci insegna. Una vita vera, al quadrato, nella quale non dobbiamo accontentarci di non ammazzare il prossimo ma dobbiamo fare in modo che esso viva, così come il momento appena trascorso, le visioni viste, le parole pronunciate migliaia di volte, e te, e me. * * * La realtà in cui viviamo oggi non è forse crudele come quella creata dai nazisti ma certi suoi meccanismi hanno leggi di fondo molto simili che offuscano l´individualità dell´uomo e lo portano a rifiutare obblighi e responsabilità verso il destino degli altri. E una realtà sempre più dominata dall´aggressività, dall´estraneità, dall´incitamento all´odio e alla paura; dove il fanatismo e il fondamentalismo sembrano farsi più forti ogni giorno mentre altre forze perdono la speranza di un cambiamento. I valori e gli orizzonti del nostro mondo, l´atmosfera che vi si respira e il linguaggio che lo domina sono dettati in gran parte da ciò che noi chiamiamo mass media, un´espressione coniata negli anni Trenta del secolo scorso quando i sociologi cominciarono a parlare di «società di massa». Ma siamo davvero consapevoli del significato di questa espressione? Di quale processo i mass media abbiano subìto? Ci rendiamo conto che gran parte di essi non solo convogliano un tipo di comunicazione destinata alle masse ma trasformano i loro utenti in massa? E lo fanno con prepotenza e cinismo, utilizzando un linguaggio povero e volgare, trattando problemi politici e morali complessi con semplicismo e falsa virtù, creando intorno a noi un´atmosfera di prostituzione spirituale ed emotiva che ci irretisce, rendendo kitsch tutto ciò che toccano: le guerre, la morte, l´amore, l´intimità. A un primo sguardo sembra che questo tipo di comunicazione si incentri sul singolo, sull´individuo, non sulle masse. Ma è una suggestione pericolosa. I mezzi di comunicazioni di massa pongono il singolo in primo piano, lo consacrano persino, incanalandolo sempre più verso se stesso. Anzi, in fin dei conti, esclusivamente verso se stesso: verso i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue aspirazioni, le sue passioni. In mille modi, palesi o nascosti, liberano l´individuo da ciò di cui lui è in ogni caso ansioso di liberarsi: la responsabilità verso gli altri per le conseguenze delle sue azioni. E nel momento in cui lo fanno ottenebrano la sua coscienza politica, sociale e morale, lo trasformano in un materiale docile alle manipolazioni da parte di chi controlla i mezzi di comunicazione e di altri. In altre parole lo trasformano in massa. (...) È questo il messaggio dei mass media: un ricambio rapido, tanto che talvolta sembra che non siano le informazioni a essere significative e importanti ma il ritmo con cui si susseguono, la cadenza nevrotica, avida, commerciale, seduttrice che creano. Secondo lo spirito del tempo il messaggio è lo zapping. * * * La letteratura non ha rappresentanti influenti nei centri di potere globali che ho appena descritto, e fatico a credere che sia in suo potere apportarvi qualche cambiamento. Può però proporre un diverso modo di vivere: secondo un ritmo interno, una coerenza personale più adatta ai nostri bisogni spirituali e naturali di quanto ci venga prepotentemente imposto da apparati esterni. Io so che quando leggo un buon libro qualcosa dentro di me si chiarisce. La mia percezione di essere una creatura particolare si fa più netta. La voce precisa, distinta, che mi giunge dall´esterno risveglia in me altre voci, alcune delle quali erano mute in precedenza. E anche se migliaia di altre persone leggono lo stesso libro nel momento in cui lo sto leggendo io, ognuna lo vive in modo diverso. Per ognuno quel libro è una cartina tornasole di tipo particolare. Un buon libro - e non ce ne sono molti perché la letteratura, naturalmente, è sensibile alle lusinghe e ai trabocchetti della comunicazione di massa - fa sì che il lettore si distingua dalla massa. (...) * * * Quando finii di scrivere Vedi alla voce: amore capii di averlo scritto per dire che chi annienta un uomo, qualunque uomo, a conti fatti distrugge un´opera geniale, unica nel suo genere, specifica e infinita che non si potrà mai più ricreare, né mai ve ne sarà una simile. Negli ultimi quattro anni ho scritto un romanzo che intende dire la stessa cosa, ambientato però altrove, in una realtà diversa. La protagonista è una donna israeliana di circa 50 anni, madre di un soldato che parte per la guerra. La sua preoccupazione per il figlio la porta a presagire la tragedia in agguato, e lei cerca con tutte le sue forze di scongiurarla lottando contro il destino che attende il ragazzo. Compie una lunga marcia, percorrendo quasi la metà di Israele e raccontando senza posa del figlio. È così infatti che cerca di proteggerlo, facendo l´unica cosa che è in suo potere per rendere l´esistenza del figlio più viva e concreta: raccontare la storia della sua vita. E un giorno, sul piccolo quaderno che porta con sé, scrive: «Migliaia di attimi e di ore e di giorni, milioni di azioni, un´infinità di gesti, di tentativi, di errori, di parole e di pensieri. Tutto per creare un unico essere umano». E poi aggiunge: «Un essere umano che è così facile distruggere»

Le iene . Massimo D'Alema contro Tremonti





Non male come video, alcune domande forse si potevano evitare, c'è il rischio di sfociare nella cronaca rosa. Comunque carina l'allusione di D'Alema "perchè lui non ha un partito". Fate voi, commentate.

martedì 11 settembre 2007

Quei morti ammazzati

Forse l'America non si rende conto. Non riesco a farmi una ragione su questo.
Perchè l'america della guerra è quella delle foto, della patria, delle interviste e dei giornali, delle gesta dei soldati, dei colori di una bandiera. Non quella dei morti. Sono quasi 4000 i soldati americani morti nella guerra in Iraq, numero che supera di gran lunga quello altrettanto tragico delle torri gemelle e che va sempre aumentando.
Nel giorno della campana, del minuto di silenzio, della lettura dei nomi, il generale Petreus dichiara la posticipazione del ritiro delle truppe, si continua a sparare e ad uccidere civili. Per chi non l'abbia ancora fatto e forse non si rende conto dello schifo di cui sto parlando consiglio di guardare questo video , sono solo alcune immagini riprese da un soldato americano. Dove sono le commemorazioni per quei soldati? Perchè badate bene non sono eroi, come non erano eroi i morti del 2001, ma hanno in comune con questi l'esser morti per una mano ed una causa folle.
C'è un certa caratteristica italiota che tende a raggruppare un insieme di cose, fatti e persone, quel fare sincretismo dei concetti o per meglio dire "fare di tutt'erba un fascio". La mafia è un esempio lampante. Dire che tutti i politici sono dei mafiosi, vuol dire considerare quelli che hanno lavorato attivamente contro la mafia dei "non politici". Ci sono anche dei magistrati mafiosi, dei giudici mafiosi. In questo periodo va di moda, in un qualunquismo che a volte si confonde con la demagogia di un Grillo Condannato nel 1980 in via definitiva. Questo si chiederanno i lettori, cosa c'entra con la guerra in Iraq, con gli 80000 morti ammazzati in Iraq? Si deve avere fiducia nella politica, nelle istituzioni perchè, come dice Bertinotti, la politica deve fare lo scacco alla guerra. Avevano ragione i grandi movimenti per la pace.
La politica come creatrice di pace.

mitici Rossi e Bonomi



il finale è da vedere, una magia di tecnica. Meglio di qualsiasi F1.

giovedì 6 settembre 2007

mercoledì 5 settembre 2007

Un amore di Swann - Marcel Proust

Sembra guardare un quadro di Renoir, Monet o di Helleu, quando si legge questo strordinario affresco delle francia di fine '800 di Proust, quella borghesia che vole essere così intellettuale, sopra ogni altra famiglia o discendenza, che si rifugia tra pittori, musicisti e medici.
Il romanzo ha dentro di se un qualcosa che può permetttere a chi lo legge di usare l'aggettivo mostruoso. E' in realtà solamente una storia, un "romanzo nel romanzo" compiuto all'interno de "alla ricerca dl tempo perduto" che introduce la figura di Swann, giovane e brillante borghese, conosciutore profondo della pittura, delle arti e della musica, che va a frequentare un piccolo salotto quello dei Verdurin che sono certamente ben al di sotto del suo livello. Qui incontra Odette De Crecy, con cui instaura un profondo rapporto. Ma quello che strabilia in Proust, non è tanto la storia, il racconto di un'epoca, ma la profonda analisi che lui fa dell'amore, della gelosia , dell'uomo. Non vuole essere un romanzo psicologico alla Freud, statico e freddo quindi, ma è una strittura fondamentalmente anarchica, ipotattica e che cattura tanto che vorresti che non finisse mai. Sicuramente il miglior libro che abbia letto sino ad ora.
Il suo capolavoro resta "alla ricerca del tempo perduto", di cui spero presto di entrar in possesso anche se è una spesa, ne vale la pena.

martedì 4 settembre 2007

la sporcizia sotto il tappeto, le nuove strade dell'ignoranza

Un pò per la voglia di riaccendere la credibilità della politica e del suo operato, Domenici ha pensato bene di sfruttare i lavavetri.
"Mezzo chilo 'e spaghett' e un fazzolett' al collo,

lo stilett' e calzoni 'e fustagno,
metti l'aglio che inghiott' a boccate bestiali
e un talent' a lustrare stivali"
dal "Life" del 1911, poesiola sotto la vignetta che descriveva, nella quale c'era un lustrascarpe, l' "Homo Italicus", all'opera su un medio cittadino americano un pò annoiato. Eravamo strani noi italiani anarchici e insurrezionalisti, instancabili lavolatori di un professionismo muscolare, lustrascarpe, camorristi, suonatori d'organo, poeti, incantatori e innocenti. Propio come Sacco e Vanzetti, condannati da una giustizia che cercava il terrore, con un processo sbrigativo e con la sentenza già scritta. Non fu nemmeno utile il carcerato che confessò l'omicidio di cui erano accusati. Furono uccisi come cani, dalla xenofobia e dall'ignoranza.Il giudice Webster Thayer disse dopo lo loro esecuzione "visto come ho sistemato quei bastardi?".
Il latrato dei leghisti, "ci rubano il lavoro" è lo stesso di Aigues- Mortes, quella frase la dicevano i francesi quando ci fù l'eccidio di 30 italiani nell'agosto del 1893, per una lite scoppiata da parte francese perchè gli italiani propio non li sopportavano, facevano il lavoro meglio di loro, erano più forti, più resistenti. Inseguiti, massacrati fino ad esser ridotti alla poltiglia.

"Furono trenta gli uccisi frtelli!
fur sessanta i fratelli feriti
lacerati da ferri e randelli!
cento e cento la fuga salvo!
Non sul campo di patria battaglia
lasciar vinti la giovane vita!
Una gallica fiera gentaglia
sul lavor gli operai trucidò"

Ci sarebbero pagine e pagine da raccontare, come la frase di Nixon, un cialtrone, "il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto", poi le deportazioni, i rimpatrii senza motivo, le stragi e le violenze in Australia per quel colore "oliva", quell'odore nauseabondo di merda che emanavamo. Se l'era scordata l'america Enrico Fermi o dello scienziato Rocco Petrone protagonista dello sbarco sulla luna. Tutto questo e molto altro viene raccolto in un gran libro di Gian Antonio Stella, "L'orda, quando gli albanesi eravamo noi" scritto dal giornalista del corriere nel 2002. Lo recensirò tra poco, ma consiglio a tutti di leggerlo prima di esprimere opionioni un pò affrettate, non dico sbagliate, ma che comunque andrebbero approfondite.
Quella dei lavavetri per me è una decisione ingiusta, presa per tentare di aggirare il problema, nascondere l'evidenza con una multa o un arresto.
L'arresto, la multa non riuscirà a portare giustizia sociale, ad aiutar quei disgraziati. L'Italia è stato un grande paese proprio perchè si tenta di fare giustizia, redistribuzione. Cosa andranno a fare quelli che sono usciti dai semafori?
Una vera lotta si fa agli sfruttatori, alle mafie non ai lavavetri.

giovedì 2 agosto 2007

post da vacanza

Sono iniziate le vacanze e , dopo esser tornato dal mare, scrivo da questo improbabile internet point di uno sperduto paesino del salento.
La bellezza di quete terre è prepotente, incastonata in una striscia di terra che si estende da S. Maria di Leuca sino a Brindisi.
Qui, sembra che la globalizzazione faccia fatica ad entrare anche se, negli ultimi tempi, ho visto ragazzini e non, appartenenti alla casta dei miserabili. Tutti fan di quella tv osannata ed urlata, di pubblicità, programmi e cartoon che li avvicinano alla deficenza; questo è un vizio non soltanto di queste terre. Più che affrontare la realtà si cerca "il magico", "il divino" i vari Harry Potter e affiliati hanno una morale che rasenta il nulla, questo si accosta alla superstione, alla eccessiva religiosità che portano poi al 67% di studenti che hanno debiti in materie scientifiche. Tutto questo ha reso l'occidente antiscientifico, superstizioso in cui una cosa è vera solo perchè qualcuno l'ha detto, non dimostrato; in cui si può porre riparo ai problemi con la bacchetta magica o con qualche parola di un latino un pò inventato!

"Accio Gnocca! ma perchè funziona solo con Harry Potter?" (grande Tringa N.d.A.)

venerdì 20 luglio 2007

il nuovo? nucleare

Nel G8 tenutosi a San Pietroburgo nel 2006, quelle facce da pesce di Bush e Putin si sono messi ancora a parlare di nucleare, sostenendo che sarà l'energia del futuro.
Orami è diventato di moda. Si sono scordati gli incidenti del '79 in Pennsylvania e dell'86 a Chernobyl. Il tanto discusso, osannato e odiato nucleare, che sino ad ora è stato messo all'interno di un a specie di limbo scientifico, perchè dell'energia nucleare non si sapeva che fare piace a tutti. Bush, a quel pensionato di Blair a Lovelock ed ad altri pentiti ambientalisti.
C'è chi dice che si dovrebbe passare al nucleare per soppiantare i prezzi folli delle tecnologie verdi (si rimarrebbe al verde), in realtà è sconosciuto a qualcuque persona il prezzo di una centrale nucleare.
Secondo voi quanto costa fare una centrale standard con i suoi bei reattorini i sistemi di sicurezza, di comando etc? Se provate a chiederlo non so in quanti vi potrebbero rispondere oltre a Walter Grassi. Comunque il prezzo si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari. Se si decidesse per esempio di mettere l'America sotto ferro e nucleare raddoppiando l'attuale parco di centrali si andrebbe a spendere oltre 1000 miliardi di dollari, una somma interessante che i contribuenti pagherebbero non troppo volentieri.
In secondo luogo, uno studio dell' Ieae (agenzia internazionale dell'energia atomica) del 2001 riferisce che le scorte di Uranio sulla terra si potrebbero esaurire in una data non troppo lontana dal 2028 per una media richiesta di combustibile.
Spendere soldi su centrali che tra vent'anni non potranno più funzionare è quantomeno folle, visto che per costruirne una sola servono minimo 10 anni. E' certo vero che si potrebbero trovare nuovi giacimenti di uranio, ma per adesso siamo a questo punto. Certo c'è l'ipotesi della fusione nucleare, ma non penso che prima di 50 anni si possa arrivare a qualche risultato soddisfacente.
In terzo luogo non si è riuscito ancora a mettere mano al problema dell'accumolo delle scorie radio attive, che di fatto rappresentano un problema più che serio. In Nevada sono stati spesi più di 8 miliardi di euro per costruire una buca che secondo i progettisti sarebbe stata a tenuta stagna per oltre 10 mila anni. L'Epa ha già rivelato infitrazioni.
Il terrorismo poi è un fattore fondamentale, pensando che per esempio la Nuclear Regulatory commission ha eseguito un test su le centrali americane ed è risultato che la metà di esse non avrebbero resistito ad un attacco nucleare!
Bisogna infine cercare di disintagrare il potere, e questo si distrugge solamente creando reti, collegamenti, network, cercando di decentralizzare le fonti energetiche. Neclearizzando il mondo si sta facendo esattamente il contrario, visto che questa è una fonte centralizzata, molto vecchia, non per la tecnologia ma propio per il modo con cui si rapporta alla società.

In un altro paese

Ieri, in via d'Amelio c'erano i bambini. Forse ignari del profondo significato di quella strada per gli anni novanta. Comunque c'erano, questo forse fa sperare che nelle nostre generazioni la cultura della legalità non sia accantonata per nuove campagne elettorali o per i buoni propositi di qualche blogger come me. La cosa che mi ha lasciato sbalordito è che ieri, non c'era nessun palermitano. Né in strada nè affacciato alla finestra dietro qualche angolo oscuro della tenda.

La Mafia è difficile da combattere perché nelle persone si è radicata la consapevolezza che Cosa nostra sia un secondo stato. Si è creata in questi anni una vera e propria competizione che ha portato la mafia ad inserirsi all'interno degli enti locali, delle amministrazioni pubbliche, all'interno quindi dello Stato. La loro organizzazione tra uomini d'onore, capi, sottocapi, consiglieri, riunioni, votazione fa raggelare il sangue. A riguardo di questo una definizione più esatta viene da Leonardo Sciascia che dice “la mafia era, ed è, altra cosa: un sistema che in Sicilia contiene e muove interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma dentro lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta”.

Oggi, non si conoscono ancora i fatti di quella strage. Voglio dire 15 anni dopo! Molto di quello che non sappiamo ma che altri conoscono, è il contenuto della famosa “agenda rossa” in cui Borsellino annotava appunti sugli sviluppi delle sue indagini stranamente scomparsa dopo poche ore la sua morte. La “scatola nera della seconda repubblica” per Travaglio. Tutto quello che non si sa sull'organizzazione mafiosa più famosa del mondo, è incredibilmente grande. Lo testimonia quello che un'unica persona come Buscetta è riuscito a dire a Falcone negli anni ottanta, portando all'arresto di centinaia di mafiosi.

Non voglio star qui a far la storia, c'è chi la conosce meglio di me.

Anche se non ho mai visitato la Sicilia, c'era uno scrittore un certo Goethe che quando scese nell'isola, la raccontò così :


Conosci la terra dei limoni in fiore,
dove le arance d'oro splendono tra le foglie scure,
dal cielo azzurro spira un mite vento,
quieto sta il mirto e l'alloro è eccelso,
la conosci forse?
Laggiù, laggiù io
andare vorrei con te, o amato mio!”


Falcone, in un modo che ha della poesia ma che sinteticamente racconta quello che tutti i sicilaini nel profondo sentono, disse parlando con Borsellino (fonte sconosciuta) : "spero al più presto di tornare a respirare il fresco profumo del vento di Sicilia, perchè la cappa che c'è in questo momento non lo permette"

martedì 17 luglio 2007

Devo tornare a parlare di nucleare, visto che in Giappone si sono "sbagliati".
Non era un litro e mezzo di acqua contenente materiale radioattivo, ma ben 1200! Ovvero 1,2 metri cubi d'acqua, contenuti in 100 fusti che si sono allegramente rovesciati. Il nucleare si dimostra insicuro rispetto ai disastri naturali e in generale rispetto all'uomo.

lunedì 16 luglio 2007

Che ci lascino almeno il mare!

Il nostro paese è l'unico al mondo in cui per andare al mare bisogna pagare. Fatemi dire che è un vero schifo!
Se ti va bene paghi per una giornata 20/25 euro, ma ci sono spiagge sopratutto qua in toscana ed in liguria in cui arrivi a pagare sino a 100€. Spiagge d'oro.
In pochi sanno, che in un capitolo apposito della finanziaria dispone che è obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione, anche al fine della balneazione. (articolo 1, comma 251, della legge 296/2006)
C'è un apposito libretto di una ventina di pagine che spiega cosè consentito dalla attuale legge, e chi si può chiamare per chi non vuole far rispettare questa.
Che ci lascino almeno il mare!

Manuale del bagnante